Pur lavorando in casa, il tempo per i nostri bimbi è pochissimo. Ma quando sono piccolini non possono capire perché non prestiamo loro attenzione. Ecco come trovare il giusto equilibrio.

 

In questo periodo molti genitori trascorrono la propria giornata lavorativa all’interno delle mura di casa. Senza, però, poter condividere più tempo con i propri bimbi. Anzi, a volte, accade esattamente l’opposto. Con il risultato che i più piccolini, nei primi tre anni di vita, si sentono ancor più disorientati rispetto a quando mamma e papà non ci sono. Perché ora, anche se lavorano da casa, sono sempre intenti a fare atro, incollati allo schermo del computer o di altri device.

“La situazione attuale ha portato per molti di noi una maggior condivisione dello spazio e del tempo, ma questo non significa che la disponibilità del genitore sia proporzionale: spesso fisicamente è presente, ma è inafferrabile, fumoso”, spiega Marta Rizzi, psicologa e psicoterapeuta. Con inevitabili riflessi negativi sull’autostima del bambino, che pensa di non essere importante e che vive la distrazione dei genitori come un atto di trascuratezza, sentendosi non ascoltato e nemmeno visto.

 

Cosa pensa il bambino

Quali sono i pensieri che attraversano la mente di un bimbo in una situazione come questa? Quali le sue emozioni? Se potessimo dare una voce alle sue emozioni, direbbe: “Che bello averti a casa, ma non capisco perché sei sempre davanti a quello schermo. Perché non mi guardi? Forse non sono importante o abbastanza interessante, anzi no, forse non valgo niente.” E ancora: “Mamma, ho bisogno, mi ascolti, mamma?”. Infine: “Perché tu puoi guardarla e io non posso nemmeno toccarla questa cosa che tanto ti piace, che cattura tutta la tua attenzione e a cui dedichi tanto tempo?”

 

Cosa pensano i genitori

Mentre mamma e papà si dedicano al loro lavoro da casa, non senza difficoltà organizzative e logistiche, non sono certo immuni da emozioni contrastanti, divisi tra il senso del dovere e il desiderio di prendersi cura del proprio bambino. Questi i loro pensieri: “Mi sento in colpa a essere distratta, ma non posso fare altro, devo lavorare. Tu sei lì da solo e hai bisogno di me, che brutta mamma che sono”. Fino ad arrivare a un vero e proprio disorientamento: “Non so come destreggiarmi, cosa devo fare? Io devo lavorare, poi ci sei che hai bisogno… cosa devo fare?”

 

Come sentirsi tutti meglio

  • Il primo consiglio, è tollerare il senso di colpa. “Non è facile, certo, ma è indispensabile”, suggerisce Marta Rizzi. “Dobbiamo tentare in ogni modo di ridimensionare il modello di mamma o genitore perfetto che ognuno ha. Ogni mamma è a sé, è l’unica vera esperta del suo bambino e, quindi, è diversa dalle altre proprio come diverso è il suo bambino. La mamma perfetta, multitasking, a cui non sfugge niente e che riesce a rendere sempre tutti felici e soddisfatti, non esiste”.
  • Se possibile, poi, sarebbe meglio prevedere un aiuto esterno, qualcuno che si prenda cura del bambino almeno per una parte della giornata, mentre noi stiamo lavorando. “Vanno benissimo una tata, i nonni, un nido, ma anche una collaborazione tra mamme, creando una sorta di microbolla familiare per supportarsi in questo momento”, raccomanda l’esperta. “Il bambino ha bisogno di tempo di qualità, di presenza attiva, di interazione e di condivisione, di un rispecchiamento emotivo e di segnali espliciti sull’adeguatezza o meno del suo comportamento per imparare a gestirsi e conoscersi”.
  • Quando si ha tempo, che si tratti di una pausa o della fine della giornata lavorativa, bisogna dedicare del tempo di qualità al bambino. Proprio come quando si stava lontani tutto il giorno e ci si ritrovava solo verso sera. Senza distrazioni, rimandando le telefonate con le amiche a quando il bambino dorme, evitando il più possibile di lasciarsi distrarre dai dispositivi.
  • Indipendentemente dall’età, poi, è importante comunicare ai bimbi che si è dispiaciuti, ma è lavoro e non si hanno altre alternative se non svolgerlo, che non dipende dal fatto che loro non valgano o non siano interessanti. “Si pensa che i piccolini non possano capire e tante volte ci si scorda di esplicitare le nostre emozioni”, sottolinea Marta Rizzi. “È vero che, magari, non riescono a decodificare tutto quello che vivono e che vedono, ma è bene iniziare a esplicitare fin da subito la realtà dei fatti, con parole semplici, perché è anche così che imparano.
  • Infine, bisogna trovare il modo per concedere, anzi restituire, in altri momenti quello che i bimbi perdono nel tempo in cui non possiamo stare con loro. “Sorridere più spesso, accarezzarli, incoraggiarli, dire ti voglio bene a più riprese, meglio però in momenti che non coincidano con una valutazione o un loro comportamento positivo, altrimenti saranno portati a legare il loro valore personale a un risultato”, conclude l’esperta.
  • Ricordandosi sempre, quando si sta con il piccolo, di avere un ascolto attivo: quando ci parla o ci mostra qualcosa, manteniamo un contatto visivo, occhi negli occhi, ripetiamo qualche parolina del suo racconto per fargli capire che lo stiamo ascoltando, guardare nella direzione in cui indica, fargli qualche piccola domanda sul gioco che sta facendo… piccole cose che possono però fargli sentire che ha tutta la nostra attenzione e che siamo lì per lui.