Abbiamo trascorso un lungo periodo di isolamento e, anche ora che la situazione sta migliorando, tendiamo ancora a frequentare meno persone possibile.

 

Abbiamo trascorso lunghi periodi di isolamento e, anche ora che potremmo socializzare di più, tendiamo ancora a frequentare meno persone possibile. Una situazione difficile per tutti, certo, ma i neogenitori sono particolarmente preoccupati per i loro piccolini, perché temono che non siano sufficientemente sollecitati e stimolati in termini relazionali, che possano quindi diventare asociali, timidi, remissivi…

Si tratta, però, di timori legati a un supposto e presupposto bisogno di socializzazione nei primi anni di vita quando, soprattutto da 0 a 2 anni, il bambino non ha in realtà bisogno di socializzare come gli adulti intendono, ma di interagire con l’ambiente ed esplorare”, rassicura Marta Rizzi, psicologa e psicoterapeuta. “In questa fascia d’età, il bambino è molto rassicurato da eventi e volti che si ripetono perché questo gli permette di non investire troppe energie per interpretare, ogni volta, che cosa sta accadendo e di poter stare su di sé con tutta la libertà e la serenità che gli servono”. Se si interfaccia anche solo con mamma e papà, o anche con i nonni quando ci sono, il piccolo è meno affaticato e sollecitato, tutto gli appare più controllabile e prevedibile e si può godere se stesso insieme all’altro.

 

Un piccolo mondo, a misura di bebè

Prima del Covid, e soprattutto in passato, c’era una generale tendenza a lasciare il bebè in braccio ad altre persone, pensando così di abituarlo fin da subito a stare con gli altri, di non viziarlo, invece i piccoli, specie nel primo anno di vita, hanno bisogno di una base sicura, in particolare del contatto con la mamma. “Lo psicoanalista John Bowlby, padre della cosiddetta teoria dell’attaccamento, sostiene che il bambino nasce con una predisposizione biologica a sviluppare una relazione privilegiata con chi si prende cura di lui, che è fondamentale per il suo benessere psicofisico presente e futuro: quando il piccolo si sente accolto, in un ambiente noto, supportato, sorretto e protetto, è tranquillo e rafforza la sua sicurezza. Nel momento in cui le figure si moltiplicano, per il piccolo diventa difficile trovare i propri punti di riferimento e perde la possibilità di conoscere se stesso e l’altro sperimentano i benefici di una relazione esclusiva”, spiega l’esperta.

 

Cosa pensa il bambino

La minor interazione con figure esterne al nucleo famigliare, quindi, risponde di fatto a un’esigenza dei più piccoli di stare a stretto contatto con la loro figura di riferimento che, nei primi mesi in particolare, è la mamma. Esigenza che, per impegni lavorativi e organizzazione familiare, in epoca pre Covid, non sempre poteva essere assecondata.

Ora più che mai, quindi, i bebè non possono che pensare: “Sei la mia finestra sul mondo, sei la mia palestra, non ho bisogno di nessun altro. Tu pensi di essere poco, ma per me tu sei tutto. Se quando mi muovo e vado in giro mi guardi e sei tranquilla, io mi sento di poter esplorare e fare tutto quello che voglio serenamente”.

 

Cosa pensano i genitori

I neogenitori, resi ancora più insicuri dalla situazione generale e dalla mancanza di confronto con altri genitori, tendono a lasciarsi travolgere da dubbi e paure, soprattutto pensando ai possibili effetti collaterali futuri, quando il bambino crescerà. Per cui si domandano: “Non diventerà asociale? E se poi diventa mammone? Non è che a stare sempre con noi poi soffrirà di ansia da separazione? E se diventa viziato? Non è che poi farà mille capricci?”.

 

Come sentirsi tutti meglio

  • Per prima cosa gli adulti devono rivedere un bisogno che, di fatto, è più dell’adulto. I bambini hanno bisogno di noi, per cui stiamo con loro, semplicemente. Dopo 9 mesi, avvolti dal calore e dalla tranquillità del ventre materno, i neonati devono affrontare un cambiamento improvviso e netto. Per farlo, hanno bisogno del contatto fisico con i genitori, della mamma in particolare, per sentirsi di nuovo protetti, avvolti, sereni. “Proprio per sottolineare la continuità tra questi due momenti si parla di endogestazione, riferendosi alla gravidanza, e di esogestazione per indicare i primi 9 mesi dopo la nascita- In questo periodo il bebè deve staccarsi lentamente, stringendo una relazione esclusiva con noi, per poi prendere confidenza con l’esterno”, sottolinea Marta Rizzi.
  • Per accompagnarlo ai primi distacchi, si può iniziare tra i 6 e i 9 mesi a fare il “gioco del cucù” oppure a nascondere un pupazzetto sotto una coperta e poi mostrarlo nuovamente al piccolo per stupirlo, facendogli vedere che noi (e il giochino) siamo sempre lì, che siamo la sua base sicura a cui può sempre tornare, anche quando inizia a esplorare l’ambiente intorno a lui.
  • Per calmare, invece, le nostre ansie per le possibili ripercussioni future, la psicologa invita a un paio di riflessioni: le ridotte relazioni sociali di questo periodo favoriscono l’incontro tra generazioni, bimbo, genitori e nonni, che può creare e rinforzare nel piccolo il concetto di famiglia, senza distrazioni esterne. È un momento di condivisione importante, che mette le basi dell’eredità familiare. Ancora: nell’esclusività si ha l’opportunità di individuare e rispettare limiti e preferenze del bambino. Quando interagisce con tante figure, invece, ognuna “si porta via” un pezzetto e nessuna riesce davvero a trovare e individuare le ricchezze e le difficoltà su cui lavorare attraverso attività e stimoli mirati.
  • Ricordiamoci, inoltre, che intrattenere poche relazioni permette al bambino di allenarsi socialmente per creare delle relazioni stabili. Un esercizio importante, nel quale possiamo aiutarlo, concedendoci. Quando giochiamo con lui, dobbiamo essere coinvolti, davvero interessati: dato che hanno solo noi con cui relazionarsi, facciamo in modo che siano momenti di qualità. Anche per noi: il gioco diventa così un modo per conoscersi, conoscere le qualità e le peculiarità del nostro bambino, i suoi limiti, ma anche i nostri.
  • Considerato tutto questo, quindi, diamo tempo al tempo: non tentiamo di accelerare i loro tempi, rispettiamo le loro esigenze, soprattutto se mostrano disagio nell’allontanarsi da noi, magari finendo in braccio a qualcuno, anche in nostra presenza. E non pretendiamo di farli partecipare attivamente a videochiamate con amici e parenti nel tentativo di recuperare il tempo che, di fatto, non viene condiviso. C’è tempo perché nei bambini si crei e si rinforzi una memoria comune con l’altro, non dobbiamo avere fretta.di trovare tranquillità e rassicurazione in noi. Per farlo, a volte ricorre a dei vecchi comportamenti che, quindi, vanno accolti da mamma e papà.