Sempre più connessi, per giocare, studiare e comunicare con i pari, i più giovani rischiano di perdere il contatto con la realtà e di sentirsi confusi. Ecco come capirli e aiutarli.

Nell’ultimo periodo, complice la pandemia, bambini e ragazzi sono stati inevitabilmente invitati a stazionare per molte ore della loro giornata su vari device, un po’ per necessità, un po’ per comodità. Quella all’uso delle tecnologie e di internet, quindi, è diventata un’abitudine crescente, nonostante sempre più studi scientifici neurofisiologici dimostrino come questo abbia un impatto negativo sui ragazzi sotto i 14 anni di età. Anche se si parla sempre più dei pericoli della Rete e si cerca di fare sempre più cultura per un uso consapevole delle tecnologie e di internet, è indispensabile continuare a fare informazione, tra i genitori e i ragazzi, perché spesso non ci si rende davvero conto che le proprie azioni hanno sempre delle conseguenze, anche negative, e che tutto ciò che pubblichiamo è condivisibile e può essere usato contro di noi, nel presente e nel futuro.

Cosa succede ai ragazzi

I social network, primo fra tutti Instagram, permettono di restare in contatto con tante persone, di comunicare con tante persone, anche con i propri idoli, persone che prima erano inarrivabili, e questo ridimensiona molto l’approccio dei giovanissimi con le cose: tutto è più alla loro portata, più facile da raggiungere, anche se poi emerge frequente e forte la sensazione di non parlare davvero con nessuno.

Non solo, l’uso continuo dei social network porta i ragazzi a fraintendere la realtà e a vederla in un modo che non sempre è costruttivo, in particolare sui temi della sessualità o della gestione dei soldi. L’ultima tendenza nel mondo dei videogiochi è quella dei gamer che, oltre a mostrare come giocare, si dedicano all’unboxing, cioè allo spacchettamento e alla recensione di nuovi giochi e prodotti. “Guardare i gamer o gli YouTuber risponde a un bisogno di rispecchiamento emotivo che i ragazzini non riescono a trovare nella realtà, per cui si immedesimano nel giocatore e vivono le sue esperienze, le sue emozioni e le sue sensazioni”, spiega Marta Rizzi, psicologa e psicoterapeuta. “L’unboxing è una strategia di marketing che comunica al ragazzino l’idea di un’accessibilità molto facile da parte di altri a quelli che sono i suoi oggetti del desiderio e questo suscita frustrazione, perché nessuno nella realtà può avere accesso a una quantità simile di giochi, così belli e costosi”.

Al tempo stesso l’utilizzo di queste tecnologie è fuorviante per la concezione del valore del denaro e per la sua gestione: nei videogiochi si viene spesso invitati ad acquistare gemme, livelli o strumenti di vario genere per migliorare la propria performance e l’esperienza di gioco. “I ragazzini spesso faticano a distinguere quello che è reale da quello che non lo è e si ritrovano a utilizzare del credito reale, quasi sempre di nascosto da mamma e papà, per acquistare denaro virtuale, senza comprendere gli effetti negativi, il fatto che quei soldi vengono realmente spesi e, dunque, persi. Una volta realizzato, a cascata si genera l’attivazione di emozioni e pensieri in contrasto tra loro – ad esempio senso di colpa, inadeguatezza, ansia, panico – che spesso si traducono in comportamenti e sensazioni ancor più al limite, quando la chiave sarebbe parlare con mamma e papà ammettendo il proprio errore”, sottolinea l’esperta.

La confusione, poi, può essere generata da un uso non appropriato della Rete anche sui temi relazionali, come la sessualità. “Un accesso volontario o meno a contenuti pornografici lancia un messaggio di una sessualità atta esclusivamente al piacere istantaneo, a volte anche troppo focoso e violento, lontano dalla realtà che, invece, prevede l’individualità di ciascuno e l’importanza della relazione”, avvisa la psicologa.

Consigli per i genitori

  • Cerchiamo di conoscere meglio i nostri ragazzi, il loro mondo, e di vedere la realtà dalla loro angolatura. Anche se vedere i gamer in azione non è una nostra ambizione, ad esempio, è comunque un modo per condividere e per capire cosa li attrae di questo mondo.
  • Riuscire a parlare di alcuni temi, come sesso, droga, gioco d’azzardo, senza renderli dei tabù aiuta a responsabilizzarli rispetto a dei comportamenti migliori. Così si abituano a non trasgredire in quello che reputano essere percepito dai genitori come qualcosa che non si può fare.
  • Monitorare e regolamentare l’uso che i nostri figli fanno delle tecnologie per arginare il rischio dipendenza. E per scongiurare anche quello da isolamento, perché si sta insieme fisicamente ma ognuno è chiuso nella sua bolla, per esempio inserendo qualche regola condivisa e attuata da tutti, come il divieto del cellulare a tavola o prima di andare a dormire.
  • Educhiamoli all’uso della parola consapevole per comunicare e interagire con i loro pari nelle chat, invitandoli a riflettere su quello che stanno per scrivere e su come si sentirebbero se qualcuno parlasse così a loro.
  • Ultimo consiglio, sul tema algoritmo: per i ragazzi il poter essere costantemente ascoltati e osservati nelle loro azioni non rappresenta un problema, anzi, è considerato un facilitatore. “Sicuramente sul piano funzionale l’algoritmo può essere un’agevolazione, perché mi propone quello di cui ho bisogno, ma abitua a non esplorare e a non sperimentare, per cui si riflette sullo sviluppo di alcune abilità dei ragazzi, anche se loro non se ne rendono conto”, osserva Marta Rizzi. “Proviamo a renderli partecipi della strategia che sta dietro all’uso dell’algoritmo, magari attraverso la visione del documentario ‘The Social Dilemma’, per suscitare la loro voglia di sottrarsi al controllo e alla manipolazione. E continuiamo a informarci e formarci per restare tecnologicamente aggiornati e riuscire ad avere gli argomenti giusti per parlare con i nostri figli e per monitorare l’utilizzo che fanno dei device”.

 

Articolo redatto in collaborazione con Quimamme