Quando il bimbo cerca attenzioni, ha bisogno di noi o sembra fuori controllo, la risposta giusta non è zittirlo mettendogli in mano lo smartphone. Ecco perché va assolutamente evitato e come affrontare questi momenti.

 

Anche se negli ultimi mesi i ristoranti sono stati a lungo chiusi, è facile ricordarsi di quanti bambini sedessero a tavola davanti al cellulare per evitare l’effetto noia e consentire ai grandi di intrattenersi più a lungo e senza troppe storie da parte dei piccoli. L’abitudine a mettere in mano un device ai bambini anche sotto i 3 anni d’età per farli stare buoni, effetto ciuccio/tappo, non è però venuta meno.

“Tra smart working, gestione della casa, telefonate per restare in contatto con il mondo, i genitori sono di fatto poco presenti. I figli, però, qualcosa devono fare. In particolare in questa fascia d’età, fino ai 3 anni, in cui è davvero improbabile che riescano a intrattenersi da soli con giochi e attività”, spiega Marta Rizzi, psicologa e psicoterapeuta. In questo momento la tv è meno protagonista perché spesso si trova nella stessa sala in cui il genitore ha la sua postazione di lavoro e il volume alto può rendere complicato concentrarsi o fare call.

 

No alla gestione in autonomia

È facile, allora, che mamma o papà finiscano per mettere in mano al piccolo uno smartphone o un tablet. “L’uso in autonomia di questi dispositivi, però, è rischioso”, sottolinea l’esperta. “Con i piccoli è facile pensare che non sia necessario mettere blocchi o controlli alla ricerca online di contenuti, dato che si è convinti che non abbiano consapevolezza delle loro azioni o la volontà di cercare qualcosa di sconveniente, inadatto. Ma è proprio questo il problema, perché schiacciando a caso possono comunque selezionare qualcosa che per la loro età non va bene. Anche senza pensare al peggio: con i più piccoli un contenuto può non essere adatto per i troppi colori, il rumore, la velocità delle immagini… alcuni cartoni sono troppo caotici e i bimbi non hanno strumenti per decodificarli in modo corretto”.

 

Non mettere in pausa i suoi bisogni

La tentazione di ricorrere al ciuccio virtuale, però, può essere forte anche fuori casa: al supermercato, in mezzo alla strada, quando bisogna mettersi sul seggiolino auto, quando è ora di venire via dal parchetto, sono tantissime le situazioni in cui il bambino può impuntarsi, fare i capricci, urlare a squarciagola e senza fine per esprimere in ogni modo il suo bisogno. Situazioni in cui il genitore, più nervoso, più teso, non è disponibile per accogliere quel tipo di richiesta, appesantita anche dallo sguardo degli altri, e decide di interrompere subito il tutto (capriccio e giudizio altrui) mettendo in pausa il bambino con lo smartphone.

Con tutti i riflessi negativi del caso. “Innanzitutto l’assenza del riconoscimento e della gestione delle emozioni del bambino, con tutte le frustrazioni che ne conseguono”, sottolinea Marta Rizzi. “Se induco il bambino a non tollerare l’attesa perché tutto arriva subito, lo spingo verso la ricerca della gratificazione immediata, che porta nel tempo a una vera e propria dipendenza da tutto ciò che la soddisfa”. Delegare i propri compiti da genitore a un oggetto, soprattutto nei momenti più faticosi, come mangiare, andare a dormire, insegna ai bambini a trovare la via più semplice, a non tollerare la fatica e l’attesa.

 

Cosa pensa il bambino

Ma che effetto ha questo tipo di situazione sul piccolo? Quali emozioni e pensieri lo attraversano? “I bambini più piccoli scoprono il mondo in due modi, attraverso il loro punto di riferimento oppure attraverso il loro corpo, i loro sensi”, spiega l’esperta. “Il primo pensiero potrebbe essere che quell’oggetto è bello, coinvolgente, con tanti colori, suoni e immagini, ma… è freddo, è liscio. Quella che offre un device, è un’esperienza sensoriale limitata, con la quale il bambino perde il valore causa-effetto che di solito riceve con il contatto diretto, concreto con le cose”.

Ma anche: “Sento dentro di me qualcosa, ma non riesco a capire di cosa si tratta, a gestirlo. Ho bisogno di te per capire cosa mi accade, ho bisogno di rassicurazione, di una tua parola, di un tuo abbraccio, non di essere distratto da questo coso, che usa sempre lo stesso linguaggio e tono, sia quando sono felice, arrabbiato o triste. Non è uno specchio adeguato alle mie intensità emotive”.

 

Cosa pensano i genitori

In situazioni di questo tipo, ancor più in questo momento di emergenza, i genitori si confrontano con una fatica emotiva e il desiderio di trovare la via più facile per risolvere il problema. Pensano: “In questo momento non ho tempo, non ho voglia, sono stanco, non riesco a star dietro a te, al tuo pianto, alle tue lamentele, alla tua noia”. Ma anche “Chissà cosa pensano gli altri quando urli per strada”. Fino a un vero e proprio senso di frustrazione: “ho voglia di stare per i fatti miei, ho voglia di vedere i miei amici, devo pulire casa e ti ci metti anche tu…questo è l’unico modo per farti stare fermo e buono”. Annullando la richiesta eccessiva del bambino, l’adulto pensa di aver risolto il problema o di aver reso felice il bambino, invece ha solo congelato la cosa.

 

Come sentirsi tutti meglio

  • Per prima cosa bisogna accettare che il ruolo di genitore comporti delle fatiche: nessuno ha mai detto che sarebbe stato semplice. Siamo responsabili di un’altra vita e di questa vita dobbiamo sentire anche il peso, lo spazio e la fatica, oltre alla gioia, alla condivisione, alla memoria e alla crescita comune.
  • “Secondo, il genitore deve mantenere la sua autorevolezza, senza essere autoritario. È essenziale che riesca a mettere confini e a stabilire regole, anche nell’uso di questi dispositivi”, raccomanda la psicologa. Che, come suggeriscono gli esperti, deve davvero essere ridotto al minimo e, sotto i due anni, addirittura evitato “Se lascio che il bambino abbia sempre accesso al device, in modo indistinto, senza regole e orari, quando glielo tolgo creo un vuoto, una sensazione che non riesce a comprendere, che non ha mai imparato a gestire e che nel tempo può diventare molto simile a una crisi di astinenza”.
  • Terzo: invece di cercare un modo facile per togliersi l’impiccio, meglio trovare qualcosa di adatto su cui concentrarsi, un’attività che includa il bambino e che gli comunichi che lui è importante per mamma e papà. Il modo più semplice è collaborare, fare delle cose insieme. Devo fare i mestieri? Trasformiamolo in un gioco, coinvolgendo il piccolo in modo che impari a sentirsi parte della cosa e utile. Con una piccola scopina, un ferro da stiro giocattolo o uno stendibiancheria mini, il tempo volerà. Allo stesso modo, se devo preparare da mangiare, lui può colorare sul tavolo della cucina, usare il didò o fare travasi con i semi…
  • Quarto, importantissimo, normalizzare: a tutti capita di avere bambini urlanti in strada, ma noi siamo i genitori e dobbiamo essere una figura di riferimento solida e sicura su cui il bambino possa contare. Per questo dobbiamo essere fermi e accoglienti, trovare le forze, il tempo e la tenacia da dedicare a questi momenti per rispettare lo stile educativo che ci siamo prefissati. Tollerando di non essere perfetti, di fare fatica, che possiamo essere tesi e avere i nostri pensieri, ma la vita è fatta di alti e bassi. Ai bambini questo messaggio deve arrivare, non può essere tutto piatto, e deve iniziare a sintonizzarsi sul sentire dell’altro per trovare poi un sentire comune.
  • Infine, riadattare i propri bisogni e quelli del bambino con dei compromessi. Ad esempio, invece di pretendere che il piccolo stia buono e calmo al tavolo di un bar per un aperitivo tra amici, senza annoiarsi e fare capricci, perché non organizzarsi con una borsa frigo e trasferire il tutto al parco, dove tutti (bimbi compresi) possano trovare il proprio spazio e divertirsi?