Tutti, a qualunque età, siamo fatti di emozioni. Noi adulti, però, siamo lo specchio delle emozioni dei nostri figli, siamo il loro modello di emozioni e della loro gestione. Ecco come comunicare loro che, davvero, andrà tutto bene.

 

L’ultimo periodo è stato altamente attivante per tutti in termini emotivi, con fasi di up and down negli adulti che si riversano inevitabilmente sui figli: preoccupazioni per lavoro, per il futuro, per la salute delle persone che ci sono vicine e care… E così i genitori si ritrovano in crisi, cercando di controllare le proprie emozioni, preoccupati che il non saperle riconoscere e gestire possa avere dei riflessi sui figli e che il loro benessere psicoemotivo possa risentirne, nel breve e nel lungo termine.

 

Cosa pensa il bambino

“È un periodo che sta facendo da cassa di risonanza per gli stati emotivi, tutto è amplificato”, sottolinea Marta Rizzi, psicologa e psicoterapeuta. “I bambini, anche nella fascia 0-3 anni, sono delle spugne, hanno occhi (ma anche orecchie) attenti, costantemente vigili”. Ci osservano, ci ascoltano, e pensano: “Mamma, cosa ti succede? Cosa mi succede? Perché hai quello sguardo? Ho fatto qualcosa che non va? Ti sento tesa anche se mi dici che va tutto bene, cosa c’è che non va? Mi stai mentendo?”. Emozioni, tensioni, confusione possono anche tradursi in difficoltà ad addormentarsi o in numerosi risvegli notturni (“Non dormo perché non so cosa stia succedendo intorno a me”).

 

Cosa pensano i genitori

Mamma e papà si chiedono: “Andrà davvero tutto bene? Sono preoccupato, ma non voglio spaventarti. Devo essere forte, non devo piangere, non posso e non devo farti vedere che sono triste. Vorrei urlare contro il mondo che non ne posso più, ma mi trattengo e ti sorrido”. E se il loro piccolo dorme male, le preoccupazioni aumentano: “Perché non dormi? C’è qualcosa che ti turba? Ho fatto io qualcosa? Devo fare qualcosa e non me ne rendo conto?”.

 

Come sentirsi tutti meglio

  • Primo consiglio: non essere spaventati. Un genitore spaventato è altamente spaventante per il bambino, che perde la sua base sicura, il suo punto di riferimento e si sente la terra tremare sotto i piedi. Non basta dirsi che andrà tutto bene, dobbiamo crederci davvero, essere realistici e lucidi perché abbiamo la responsabilità dei nostri figli e di quello che possono percepire. “I piccoli si basano sul pensiero concreto, pratico, e a tutto ciò che è astratto tentano di dare spiegazione sulla base di esperienze vissute”, spiega Marta Rizzi. “Per questo tendono ad attribuirsi delle colpe se vedono mamma e papà tristi o arrabbiati, provando a fare dei collegamenti tra lo stato d’animo dei genitori e qualcosa che è accaduto, traendo conclusioni errate”. Così, se la mamma è preoccupata, rischiano di pensare che sia dovuto al fatto che si sono fatti la pipì addosso o, in generale, al loro non essere adeguati. Come evitarlo? “Dando il più possibile spiegazioni concrete e semplici, senza mentire, ma raccontando cosa sta accadendo. Anche se sono piccoli, non fingiamo, ma condividiamo emozioni e stati d’animo scegliendo parole adatte”, suggerisce l’esperta. “Non c’è emozione sbagliata o giusta, ci sono solo emozioni sgradevoli e piacevoli. Si può provare qualsiasi emozione e se ne può parlare: nessuno ci può giudicare per quello che sentiamo, può farlo semmai per il modo in cui la manifestiamo”. Attenzione, però, quando raccontiamo cosa stiamo provando, deve esserci coerenza tra quel che diciamo e quel che facciamo vedere: se sostengo di essere serena, non posso avere un tono di voce arrabbiato o traballante.
  • Molto importante, poi, distinguere ciò che è mio da ciò che è tuo: se io sono preoccupato, non devi esserlo anche tu e non sei per forza tu la mia fonte di preoccupazione; se io sono arrabbiato non devi esserlo anche tu e non sei per forza tu la causa della mia rabbia. “Va chiarito molto bene, soprattutto in questo periodo in cui è più facile perdere il controllo, perché il bambino non deve pensare di esserne la causa. Tutti sbagliamo, anche noi genitori, la differenza la fa il fermarsi, il capire che abbiamo fatto un errore e chiedere scusa”, raccomanda la psicologa.
  • E quando è il bambino a mostrare tensione o disagio? La cosa migliore da fare è empatizzare, per farlo sentire compreso e fargli capire che tutto ciò che sente è normale, raccontando che quella emozione l’abbiamo provata anche noi, così da garantire una sintonia e una comunicazione di fiducia. “In questa fascia d’età i piccoli non hanno le parole giuste per raccontarci quello che provano, per cui dobbiamo essere noi a dar voce a quello che sentono. Se li vediamo preoccupati, proviamo a ipotizzare una serie di motivazioni, ricordandoci che saranno diverse dalle nostre, che anche lui ha un mondo altro oltre a noi e che a turbarlo non dobbiamo essere per forza noi”, spiega Marta Rizzi. Mai sminuire o negare, con frasi del tipo “non è necessario piangere” o “non è successo niente”: il pianto non è mai immotivato, di per sé sfoga e alleggerisce le tensioni, proprio in termini fisiologici.
  • Quando sentiamo tensione nei bambini, però, evitiamo di accentuarla cercando cause e motivazioni che, in quel momento, non sono in grado di riconoscere, perché il loro cervello emotivo è come se fosse chiuso. Piuttosto conteniamoli fisicamente, usiamo un tono di voce basso e rassicurante, con frasi del tipo “capisco, mi dispiace, piano piano passerà, so che provi qualcosa di faticoso, è successo anche a me…”. Ci sono studi, infatti, che provano che la vicinanza fisica, il contatto di almeno 30 secondi con adulto calmo ha un effetto tranquillizzante sui piccoli.
  • Se si presentano improvvisamente risvegli notturni, crisi di pianto o regressioni da spannolinamento, il consiglio è osservare il bambino senza anticipare o problematizzare, accogliendolo. Lo psicoanalista John Bowlby dice che la base sicura è un porto in cui tornare, anche quando il mare è in tempesta: il bambino sicuramente sta attraversando un periodo difficile, di tensione, di stress, di attivazione e ha bisogno di trovare tranquillità e rassicurazione in noi. Per farlo, a volte ricorre a dei vecchi comportamenti che, quindi, vanno accolti da mamma e papà.
  • in cui trovare rassicurazione, coccole, protezione e calore. Uno spazio per il gioco di immaginazione, con travestimenti, stoffe e vecchi abiti che il bambino possa usare per il gioco simbolico, durante il quale esprimere tutto quello che vive e assorbe, ma che non riesce a tirare fuori a parole. Infine, uno spazio con libri e albi illustrati, per un momento di coinvolgimento e riflessione. “Gli albi illustrati, che lasciano grande spazio a immagini di qualità supportate da testi brevi e semplici, non hanno una morale, ma raccontano un quotidiano in cui il bambino riesce a rispecchiarsi. Per questo sono tranquillizzanti, perché è come se normalizzassero le varie situazioni”, sottolinea la psicologa. “Sono storie che il bambino può leggere in autonomia, grazie alle immagini evocative, ma in presenza dell’adulto la stessa storia si arricchisce e permette un momento di contatto e condivisione prezioso, anche per il genitore, che sullo spunto dato dalla storia può parlare di sé e di quello che prova”.