Sharenting, meglio perdere il vizio
Condividere, confrontarsi, cercare supporto, restare in contatto… sono tanti e diversi i motivi per cui spesso si fa un uso eccessivo dei social, pubblicando le immagini dei più piccoli. Ecco perché è importante pensarci bene prima di farlo.
Il termine, relativamente recente, parla chiaro e nasce dall’unione del verbo “to share” (condividere) e dal termine “parenting” che si può tradurre “fare il genitore”. Individua cioè l’abitudine di alcuni genitori di condividere troppe informazioni, immagini in particolare, dei propri figli, fin da piccolissimi. Un fenomeno a cui si assiste ormai da tempo, ma che fin dall’inizio della pandemia ha avuto un importante incremento.
La spinta è stata quella di voler condividere il proprio quotidiano con gli altri, anche se ognuno chiuso nelle proprie abitazioni o affacciato al davanzale o al balcone. “Viviamo in un’era in cui tutti siamo in vetrina, anche senza volerlo, ma per i genitori, oggi, sembra proprio essere un bisogno, una necessità acuita dall’assenza del contatto e del confronto con altri neogenitori, che permette di condividere, sfogarsi e di sentirsi rassicurati e normali”, spiega Marta Rizzi, psicologa e psicoterapeuta. “Lo fanno principalmente in due modi: solo attraverso i social privati, per mostrare i traguardi del mio bebè o le cose buffe che fa, oppure pubblicandole anche su gruppi Facebook o altri spazi virtuali pubblici, ad esempio per chiedere un parere, a un medico o ad altri genitori, per qualcosa che è successo al suo bambino, per una macchiolina che è comparsa sulla pelle…”.
Nei due casi, però, i contenuti sono differenti: sul social privato si pubblicano immagini per ritrarre i traguardi del piccolo e condividere un’emozione positiva, allegra e gioiosa, ottenendo anche una gratificazione come genitore attraverso il consenso degli altri (i like), mentre sui gruppi o i forum si tende a mostrare il corpo, parti di un corpo, di intimità del bambino. “La maggior parte delle volte, infatti, si tratta di richieste di pareri dermatologici, con condivisioni di immagini di ogni tipo. Che ricevono, poi, pareri di ogni tipo: se i medici rimandano sempre a degli approfondimenti in presenza, gli altri utenti non lesinano interpretazioni, opinioni e consigli. Generando un moto emotivo enorme, da un lato e dall’altro, che mostra chiaramente quanto i genitori di oggi si sentano insicuri e soli e quanto abbiano bisogno di rassicurazioni e di approvazione”, sottolinea la psicologa.
Cosa pensa il bambino
Il bambino, nei primi mesi, anni di vita, conosce il mondo principalmente osservando il suo punto di riferimento, il genitore. Le nostre azioni, le emozioni che mostriamo, anche inconsciamente, vengono assorbite ed elaborate perché siamo un modello da emulare, una guida per il futuro. Cosa comunichiamo al bambino, allora, quando continuiamo a ritrarlo in foto e video per poi mettere tutto online? Quali potrebbero essere i suoi pensieri, il suo punto di vista? “È bello che tu voglia condividere con tutti la tua gioia per i miei primi traguardi e successi. Questo mi rende e mi fa sentire importante, ma… lo stai facendo con tutti, ma non con me. I tuoi ricordi di me sono per la maggior parte immortalati, cioè fotografati, però quanti li hai realmente vissuti con me?”.
Nelle fasi successive, crescendo, il bambino potrebbe anche pensare: “Tu stai raccontando qualcosa di me, ma mi hai chiesto il permesso? Non mi va che tutte le mie cose, anche quelle più intime, siano online. Hai pensato a quando sarò più grande, a quando qualcuno potrà anche prendermi in giro per queste immagini? Non sono un fenomeno da baraccone, io sono tuo figlio e devi rispettarmi”.
Cosa pensano i genitori
I genitori sono spaesati, soprattutto al primo figlio, e hanno bisogno di conferme e consensi, ma anche solo di informazioni, di cui sono assetati, e la Rete permette di riceverle con più facilità e velocità rispetto alla vita reale. Quali sono, allora, i pensieri che passano loro per la mente? “Mi sento solo, ancor più in questo momento di pandemia, e io ho voglia di confrontarmi con altri genitori, come posso farlo?”. Ma anche: “Sono orgogliosa di te e voglio mostrarlo al mondo. E nel farlo mi sento anche più adeguata, trovo confronto e approvazione sociale”.
A meno che il “mostrare a che età il bambino ha fatto” suoni molto simile alla “panchina del giardinetto”, dove mamme e nonni parlano di successi sempre più precoci, e al limite dell’inverosimile, in una sorta di crescendo competitivo aggravato dall’amplificatore dell’online, che rende tutto più intenso e surreale. In questo caso, invece di trovare conforto e sentirsi adeguato, il genitore rischia di sentirsi ancora più inadeguato.
Come sentirsi tutti meglio
- Innanzitutto cercando di vivere al meglio, direttamente, quei momenti speciali che vorremmo fissare per sempre nella memoria: nel momento in cui li filtriamo con lo smartphone, di fatto ce li stiamo perdendo dal vivo. Resistiamo alla tentazione e godiamoci quello che accade da protagonisti, insieme al bambino, in modo che anche lui possa vedere il nostro viso, lo sguardo, e capire quanto ci emoziona e ci piace quello che sta facendo. “Quando succede qualcosa di bellissimo, coinvolgiamo anche il bambino per creare una memoria comune”, consiglia Marta Rizzi. “Diciamogli che è proprio un bel momento, che dobbiamo conservarlo nei nostri ricordi e facciamo un click finto insieme, per immortalarlo insieme nella memoria”.
- Essenziale, poi, ricordarsi che come genitori dobbiamo essere adulti e fare un uso consapevole della Rete e di tutto ciò che ne consegue perché abbiamo la responsabilità dei nostri figli. Perché con la nostra immagine siamo rispettosi, quasi gelosi, e con quella dei nostri figli no? Proviamo a metterci nei panni dei piccoli e immaginare se ci piacerebbe essere ritratti nella stessa situazione e pubblicati online. Considerando anche che, nel momento stesso in cui le condivido, le fotografie diventano automaticamente pubbliche: basta che un amico faccia lo screenshot di una foto e la condivida con qualcun altro e può diventare virale. Non solo: dobbiamo prendere in considerazione che in Rete potrebbero esserci anche dei malintenzionati e che certe immagini potrebbero diventare contenuti pedopornografici. Stessa cosa per la tracciabilità; quando geolocalizziamo le foto, stiamo dando informazioni di noi e dei nostri figli. “Come genitori siamo un esempio per i nostri figli, un modello da emulare, per cui l’uso consapevole della Rete diventa ancora più indispensabile come aspetto valoriale da trasmettere e tramandare”, ricorda la psicologa. “Il rapporto futuro che avranno con l’uso della propria immagine dipende direttamente da quello che hanno appreso da noi. Un genitore che non ha filtri e pubblica qualsiasi cosa, comunica che è giusto dare importanza all’esibizione e all’immagine. Con il rischio che, focalizzando le immagini sui comportamenti del bambino, gli arrivi il messaggio che deve “comportarsi bene” per avere le attenzioni del genitore e apparire sui social.
- Altro consiglio: se vogliamo davvero condividere per sentirci in contatto con altre persone, cerchiamo di non falsare la realtà. Se si desidera il confronto (e il conforto) con la rete di mamme, evitiamo di generare un senso di inadeguatezza negli altri, pubblicando e raccontando un mondo (o un bambino) perfetto, ma irreale. “Lasciamo spazio alle nostre sensazioni e al vissuto del momento che vogliamo condividere: così si crea una maggior connessione si livella il senso di inadeguatezza, per un’interazione diversa, più vera e sincera”, suggerisce l’esperta.
- Attenzione anche a non far perdere il senso di realtà al bambino: “abbiamo la tendenza a dire ‘bravo’, a lodarlo, anche per le cose più banali, che per lui sono degli automatismi, azioni che vede fare anche a noi continuamente senza che nessuno ci elogi. Diamo il giusto peso alle cose, senza confondere i piccoli”, conclude Marta Rizzi.